Il Partito Liberale Italiano toscano ricorda Benedetto Croce

Il Partito Liberale Italiano toscano, ricorda, a 70 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 20 novembre del 1952, il filosofo e grande teorico del pensiero liberale Benedetto Croce.

Elisabetta Marinari, presidente regionale: “Il pensiero crociano è quanto mai attuale, in un momento storico come questo in cui è facile perdere la bussola dietro ad illusorie promesse, è doveroso ricordare che ‘La libertà è l’unica religione'”.
“‘Una seria opposizione di principio al socialismo è soltanto quella che si oppone all’etica e politica autoritaria’: ricordando questa frase, sottolineo quanto vaneggiare di socialismo liberale sia un controsenso e come tale uno specchietto per le allodole purtroppo agitato da molti” aggiunge Angelo Rossi, segretario regionale del PLI.
Il Partito Liberale Italiano, forte del recente rinnovamento dei vertici nazionali, si propone fieramente, a 100 anni dalla propria costituzione, come propulsore delle politiche di libertà, individuali e di impresa, necessarie alla crescita del nostro Paese e a maggior ragione della nostra regione, malamente amministrata da decenni di consociativismo di sinistra.

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Biografia di Benedetto Croce – di Vincenzo Cusumano

Benedetto Croce fu un filosofo, storico, critico letterario, scrittore e politico ideologo del liberalismo novecentesco.
Nacque a Pescasseroli in provincia dell’Aquila il 25/02/1866 e perse i genitori a diciassette anni per il terremoto di Casamicciola nell’isola di Ischia, dove la famiglia si chiamava in vacanza.
Fu accolto a Roma da parenti e lì ebbe modo di formarsi culturalmente e di frequentare lezioni di filosofia morale, diventando cosi’ protagonista della vita culturale italiana della prima metà del novecento.
Nel costruire il suo concetto filosofico di libertà, principio supremo della sua concezione di vita reale, considera l’arte la conoscenza intuitiva della realtà la cui espressione non può essere che un atto libero.
Nel 1903, assieme a Giovanni Gentile, fondò “la Critica”, rivista di letteratura, storia e filosofia.
All’attività letteraria affianca quella politica e nel 1910 viene nominato senatore per censo e, dal 1920 al 1921 nel governo Giolitti, fu ministro della pubblica istruzione.
In tale veste, introdusse l’esame di stato e riorganizzo’ la storia secondaria.
Quando Mussolini, nel 1922, prese il potere, in un primo momento Croce dimostra una certa fiducia verso il nuovo governo e quando Mussolini tenne a Napoli, città brulicante di camicie nere, un discorso al teatro San Carlo, ad applaudire c’era in un palco anche Benedetto Croce con accanto il filosofo De Ruggiero che gli disse: ” ma non vi sembra un po’ istrione?” al che Croce rispose: “Si, ma un politico deve essere un po’ istrione”.
L’omicidio Matteotti pero’ segna l’inizio di una rottura col fascismo destinata a diventare sempre più profonda tanto che scrive il manifesto degli intellettuali antifascisti. Nel 1926 a seguito di alcuni attentati antifascisti vi furono violente rappresaglie nei confronti degli oppositori del regime ed anche la casa di Benedetto Croce fu oggetto di devastazione.
Durante la guerra Croce fu portato di paracadutisti inglesi a Capri per sottrarlo ad eventuali rappresaglie tedesche.
Da Capri sostenne che non conveniva in alcun modo togliere dal suo posto Badoglio che, sia per le capacità militari, che per l’impegno che aveva preso contro il fascismo e contro i tedeschi, era l’uomo piu’ ogni altro adatto a consigliare al Re di abdicare in favore del figlio; non sarebbe stato necessario un referendum perché l’abdicazione doveva sorgere spontanea dalla coscienza del Re.
Dopo l’8 settembre 1943 aderisce al Partito Liberale, e dopo la fine della monarchia, è deputato all’assemblea costituente del 1946.
Nella primavera del 1944 Croce riunì sotto la sua presidenza, a Napoli, il comitato direttivo del Partito Liberale Italiano per l’Italia liberata, indicando quale doveva essere la linea politica da seguire. Croce sostenne che il fascismo era stato in Italia una parentesi da ripudiare e si dovevano epurare coloro che avevano ricevuto dal fascismo incarichi dirigenziali e non i cittadini comuni per quanto vicini politicamente al fascismo.
Durante tale convegno fu presentato ed approvato lo statuto del partito che conteneva il principio della libertà quale supremo regolatore ed ispiratore di ogni attività pubblica e privata.
Croce assunse la presidenza del partito, mentre la segreteria fu affidata a Giovanni Cassandro al quale seguirono Manlio Brosio, Leone Cassani e infine di nuovo Cassandro.
Ad aprile del 1946 si svolse a Roma il primo congresso del dopoguerra con al centro del dibattito il problema istituzionale con l’incombente referendum del 2 giugno e le questioni economiche.
Per il referendum la maggioranza si espresse a favore della monarchia, lasciando agli iscritti piena libertà di voto.
Croce aveva illustrato che in linea di principio, sia la monarchia che la repubblica potevano ciascuna garantire la libertà dei cittadini, e che bisognava distinguere tra l’istituzione e chi la rappresenta.
Tale atteggiamento fu determinante per dare al PLI l’immagine di alleato dei conservatori e nei mesi dopo provocò pure l’avvio della fuoriuscita dei liberali dell’ala sinistra.
Subito dopo il referendum, il liberale napoletano Enrico De Nicola venne eletto dalla costituente capo provvisorio della repubblica, e nel PLI entrò a far parte il blocco nazionale della libertà il cui maggiore esponente era Roberto Lucifero, membro della costituente e cugino di Falcone Lucifero, ministro della real casa.
Nel dicembre del 1947 Roberto Lucifero vinse il congresso del PLI e fu eletto segretario e a maggio del 1948 il liberale Luigi Einaudi fu eletto Presidente della repubblica.
All’inizio dell’autunno del 48 Roberto Lucifero che aveva svolto un ruolo di fiancheggiatore del mondo conservatore della DC, venne sostituito da Bruno Villabruna che riportò il PLI sulle sue posizioni congeniali, più attente ai cittadini., e operò per riportare nel partito il gruppo dei liberali di sinistra.
A tale proposito Villabruna organizzò a Torino un convegno di unificazione al quale Croce, già infermo, inviò uno scritto in cui definiva il convegno “una spontanea reazione in difesa della più alta idea che sia mai stata concepita nella politica, l’idea liberale, così avversata nel tempo presente”.
Il convegno si caratterizzò per una atmosfera entusiasta ed espresse alcune considerazioni chiave sul ripristinare gradualmente la libera economia di concorrenza con il proteggere l’artigianato, la piccola proprietà fondiaria e la piccola e media impresa.
La scomparsa di Croce nel novembre del 1952 fu poi l’embre dello scarso rilievo che i tre partiti più piccoli (PLI-PRI-PSDI) cominciarono ad avere nei confronti della DC che assumeva un ruolo egemone.


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